Pianificazione del circuito
di Chris Rollings, BGA senior coach
da Sailplane & Gliding n.2/1994
Traduzione di Flavio Formosa flavioform@inwind.it
Dalle prime formalizzazioni delle procedure di atterraggio per gli alianti, il circuito "ideale" fu immaginato di forma rettangolare, con il lato di sottovento parallelo al lato di avvicinamento finale, ed un tratto di base perpendicolare a questi due. Altezze e distanze variavano secondo il tipo di aliante e la valutazione dei margini di sicurezza necessari da parte del pilota. Generalmente oggigiorno si opera così (fig.1):
a) punto di inizio del sottovento, altezza 250 metri, distanza 1500m circa dalla zona di atterraggio
b) al traverso della zona di atterraggio, altezza 180-200m, distanza 800m circa
c) virata base, altezza 150m, distanza abbastanza superiore a 800m dalla zona di atterraggio
d) virata finale, altezza 80-100m distanza 400-500m dalla zona di atterraggio
e) punto di riferimento per la zona di atterraggio
(parametri validi per un K13 con vento debole)Agli inizi, gli istruttori insegnavano la corretta conduzione del circuito utilizzando riferimenti locali (riferimenti secondari), ad esempio "inizia il sottovento sopra il fienile rosso, quindi vira in base sopra l'incrocio stradale vicino al paese", etc.
Fu ben presto realizzato che questo funzionava solo con una gamma limitata di condizioni di vento e unicamente per una direzione di atterraggio. Cambiando la direzione e/o l'intensità del vento, l'allievo doveva essere riaddestrato. In più, era un sistema totalmente inutile in caso di atterraggio fuori campo, sempre più possibile man mano che i voli di distanza diventavano appannaggio di un maggior numero di piloti.
La risposta, introdotta negli anni '60, fu di giudicare la posizione dell'aliante nel circuito in rapporto unicamente alla zona di atterraggio prescelta (riferimento primario).
Il metodo, correttamente applicato, richiede al pilota di stimare la distanza, l'altezza e l'angolo rispetto al punto di riferimento primario.
Questo metodo funziona meglio, ma mi ha sempre lasciato la sensazione che non tutto sia perfetto. In particolare, ho spesso provato (nei voli di istruzione) un senso di disagio tra il punto al traverso della zona d'atterraggio (b) e la virata in base (c). La stessa sensazione mi è stata riferita da molti, se non tutti, gli istruttori.
La ragione di ciò ha richiesto un certo tempo per essere scoperta, ma in realtà è molto semplice, e spiegabile in due parti.
Primo, quando l'aliante percorre la prima parte del sottovento, tra (a) e (b), l'altezza rispetto al punto di atterraggio si riduce, ma la distanza si riduce ancor più rapidamente. La perdita di quota tra (a) e (b) è circa il 25% della quota iniziale, ma la distanza tra (b) ed (e) è del 33%-50% minore che tra (a) ed (e), cosicché l'angolo rispetto al punto di atterraggio migliora.
Una volta superato (b), procedendo verso (c) la distanza dal punto di toccata (e) inizia ad aumentare, e più l'aliante allunga il sottovento, più rapidamente essa aumenta, mentre l'altezza continua a diminuire. L'angolo rispetto al punto di atterraggio va dunque rapidamente peggiorando.
In una giornata di vento moderatamente forte, la differenza tra una virata in base corretta ed una così in ritardo da non permettere di raggiungere la pista (con il conseguente rischio di un incidente nel tentativo di volerla raggiungere per forza) è spesso di pochi secondi. Nessuna meraviglia se gli istruttori si sentono a disagio!
Una volta eseguita la virata base (c), nel tratto verso la virata finale (d) la distanza torna a diminuire, e l'angolo migliora nuovamente fino ad avere in (d) all'incirca lo stesso valore che aveva al traverso della zona di atterraggio, in (b). La figura 2 mostra la variazione dei parametri altezza/distanza/angolo durante il circuito.
Il rapido peggioramento dell'angolo rispetto alla zona di atterraggio mentre l'aliante vola in sottovento tra il traverso del punto di toccata e la virata base è uno dei punti deboli di questo tipo di circuito. Il secondo punto debole è più sottile. Una volta superato il punto (b), nella maggior parte degli alianti la posizione dell'ala è tale che è impossibile vedere il punto di atterraggio prescelto. Dal momento che l'insegnamento è basato sul giudicare la propria posizione rispetto a questo punto, c'è sicuramente una seria incongruenza in ciò.
Ed ecco l'ispirazione dettata dall'ovvietà: se la parte di circuito tra il punto (b) e la virata base (c) è potenzialmente pericolosa,e ci impedisce di vedere ciò che dovreste sorvegliare continuamente, semplicemente evitiamola. Una volta superato il traverso del punto di atterraggio, si virerà di circa 45° verso il tratto di base, mirando a congiungersi ad esso a circa metà della sua normale lunghezza (Fig.3).
Così facendo si ottengono due cose : il punto di atterraggio rimane in vista (e possiamo continuare a sorvegliare l'importantissimo angolo) e la distanza rispetto ad esso continua a ridursi, più o meno di pari passo con la riduzione dell'altezza, cosicché l'angolo rimane apprezzabilmente costante (Fig.4).
Discutendo la cosa tra istruttori esperti, si sente spesso dire "è proprio quello che faccio quando volo da solo!". Esperimenti condotti l'anno scorso nei corsi per istruttori non hanno evidenziato problemi con questo nuovo tipo di circuito, e nella riunione di novembre del Comitato Istruttori della BGA è stato deciso di adottarlo come il metodo standard per insegnare il circuito di atterraggio.
Si noterà che dal momento che la distanza volata nel circuito risulta minore, la virata finale verrà effettuata un po' più alta del solito, oppure il sottovento dovrà essere effettuato un po' più lontano dalla pista rispetto a prima. Delle due soluzioni la seconda è preferibile, ma le differenze sono in genere piccole, per cui la scelta non è critica.
Tutto quanto detto finora non tiene conto delle variazioni dovute a vento forte, vento al traverso, posizioni troppo alte o troppo basse, troppo vicine o tropo lontane dalla pista. In questi casi il circuito dovrà essere modificato esattamente come accadeva con quello precedente.